Non c’è nulla di più pericoloso che sedere su petrolio o gas. Iniziano guerre multiforme, si affacciano anomalie meteorologiche, esplodono epidemie (vedi Ebola).
Le ‘disgrazie’ sono assicurate.
Grecia, Cipro e Siria messe ko, per rubargli il gas dell’Egeo
Articolo del 2013
Grecia, Cipro, Siria. Tre crisi ben distinte, secondo la narrazione mainstream: il debito pubblico non più tollerato dall’Europa del rigore, la fragilità del sistema bancario dell’isola mediterranea, la rivolta armata contro il regime di Assad. Peccato che nessuno veda cosa c’è sotto: ma proprio in fondo, là in basso, nel fondale marino dell’Egeo. Tecnicamente: uno smisurato giacimento di gas. Un tesoro inestimabile, a cui avrebbero accesso – per diritto internazionale – sia i greci massacrati dalla Troika, sia i ciprioti strapazzati da Bruxelles, sia i siriani assediati dai miliziani Nato travestiti da ribelli. Quel tesoro lo vogliono per intero, e a prezzi stracciati, le Sette Sorelle. E’ questo il vero motivo per cui si sta cercando di radere al suolo la sovranità della Grecia, di Cipro e della Siria. Non si tratta di una tesi, ma di fatti che il mondo diplomatico conosce. Parola di Agostino Chiesa Alciator, già console italiano in Francia. Che avverte: il disastro che ci sta rovinando addosso – crisi economica, catastrofe finanziaria, focolai di guerra permanente in ogni angolo del pianeta – ha una precisa di data d’inizio: 11 settembre. Non quello del 2001, le Torri Gemelle. Si tratta di undici anni prima: la caduta del Muro di Berlino.
Quel giorno del 1990, George Bush – il padre, già direttore della Cia – tenne un discorso storico: annunciò l’avvento di un Nuovo Ordine Mondiale, diretto da Washington e Londra. Era il punto di partenza di un processo inesorabile: dalla trasformazione radicale della Nato – da struttura difensiva ad organo offensivo, per il dominio del pianeta – fino alla neutralizzazione dell’Onu per aprire agli Usa la via della “guerra preventiva”, con un unico movente: procacciarsi l’accesso incondizionato al petrolio, come unico valore reale a sostegno dell’architrave dell’economia americana, il dollaro. Quello, spiega Alciator, è il momento in cui si incrina l’equilibrio del mondo, caduta l’Unione Sovietica. Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, formalizzato alla fine degli anni ’90 da George W. Bush, ne è un semplice sviluppo: «Gli Stati Uniti si arrogano il diritto di intervenire in tutto il mondo laddove i loro interessi siano considerati messi in gioco. Questa è, di fatto, l’esautorazione completa delle Nazioni Unite e del loro ruolo, fino ad allora gestito – bene o male – nella legalità internazionale, da un Consiglio di Sicurezza che rispecchiava equilibri di potenza».
Dalla geopolitica all’economia, il passo è breve: «L’altro pilastro del dominio globale è il dollaro, la sua circolazione forzosa internazionale», spiega Alciator. «Di qui tutti gli accordi, più o meno segreti, coi paesi produttori di petrolio, per i quali il petrolio è obbligatoriamente negoziato in dollari». Il problema nasce con la fine del rapporto tra dollaro e oro, il 16 luglio 1971: «Da un giorno all’altro, Nixon decide che non c’è più il cambio fisso tra 36 dollari e un’oncia d’oro: a quel punto, il dollaro non ha più un punto di riferimento stabile sul quale basare tutte le transazioni e le negoziazioni valutarie in tutto il mondo, e diventa una valuta negoziabile in quanto tale, senza più alcun riferimento». Cosa resta? «Soltanto il petrolio, che è la base di riferimento di ricchezza reale e continua, sulla quale il dollaro deve appoggiarsi per mantenere la sua credibilità». Nella trasformazione dell’egemonia Usa in autentico dominio globale, il dollaro gioca un ruolo fondamentale, insieme al petrolio e alle altre risorse energetiche: «Così, diventa assoluto il bisogno degli Stati Uniti di controllare tutte le zone produttrici di petrolio».
Comincia così la stagione della “guerra infinita”, verso la “nuova guerra fredda” cui stiamo assistendo: gli Usa occupano stabilmente i paesi petroliferi, oppure li invadono, o li accerchiano. Li isolano, presidiando gli oleodotti e le comunicazioni con l’esterno. «Dove gli Stati Uniti non possono occupare direttamente, con la guerra, i territori che producono la base fondamentale della vitalità del dollaro, presidiano le arterie globali di sbocco che da quei paesi arrivano al consumatore». In alcuni casi, se si evita la guerra è solo «per il timore di una guerra mondiale», ovvero il rischio teorico di “mutua distruzione” armato dai contrapposti arsenali atomici. Se i missili di Putin costringono l’America alla prudenza, «si stringe il cerchio attorno ai paesi produttori di gas e petrolio, per evitare che abbiano risorse petrolifere non espresse in dollari». Per esempio, tra Russia e Cina lo scambio avviene in rubli e yuan, mentre i cinesi «pagano il petrolio iraniano in oro, e gli iraniani poi cambiano l’oro in altre valute, che non sono il dollaro». Ecco il punto: «Economicamente, il disegno di dominio globale passa attraverso la sopravvivenza del dollaro, che è appoggiato sul petrolio e sul gas».
In questo, l’Europa ha una funzione strategica fondamentale, perché controlla gli sbocchi principali ed è uno dei maggiori recettori del gas che proviene dalla Russia. Non è un caso, aggiunge Alciator, che l’Irlanda e alcuni paesi nordeuropei si siano opposti alla rimozione dell’embargo sulla fornitura di armi di “ribelli” siriani, ormai in rotta verso la Giordania, dove sono protetti dalle installazioni Usa e dai missili Patriot. La situazione siriana è in stallo, ma ci sono dettagli che illuminano le possibilità che l’Europa ha di fronte. Alla vigilia del G8 di giugno, nel quale Putin ha costretto Obama a una nuova conferenza di pace sulla Siria, hanno giocato un ruolo fondamentale due attori: il premier britannico David Cameron e il nuovo Papa, Francesco I. Cameron – rivela Alciator – ha scritto al pontefice per assicurargli che al G8 la Gran Bretagna avrebbe appoggiato la proposta di pace caldeggiata da Putin. E Francesco ha risposto prontamente: molto bene, ma sappiate che la pace passa attraverso un immediato cessate il fuoco e una conferenza che tenga conto onestamente degli interessi di tutte le parti.
In quella lettera, continua l’ex diplomatico, Jorge Bergoglio ha aggiunto un’altra cosa molto importante: «Ha detto che la pace – e, in economia, la crisi – non si risolverà, se non si considererà l’uomo non più come una merce che si può gettare come la spazzatura, ma come la centralità di qualunque impresa economica e politica». In altre parole: «Non ci sarà legittimazione, né vera pace sociale, fino a quando non si riporterà l’uomo – la sua dignità, la sua persona, la sua libertà – al centro di ogni azione politica ed economica». Sono parole che anticipano di pochi giorni l’enciclica preparata dal suo predecessore, Josef Ratzinger, che secondo Alciator è stato «costretto a dimettersi» anche per via di quel testo, che denuncia i crimini del capitalismo finanziario. «Del resto – ricorda l’ex console – Ratzinger anticipò quei temi già a fine 2012, in occasione degli auguri natalizi alle rappresentanze diplomatiche». Alciator ricorda testualmente le parole di Ratzinger: «Purtroppo si sta insinuando nella società l’idea che il benessere e lo Stato sociale siano incompatibili col progresso economico: questo è inaccettabile».
Un passaggio-chiave, che Papa Francesco ha ripreso testualmente nella lettera a Cameron sulla Siria: le medesime idee ispirano il “Manifesto per l’Europa” che lo stesso Alciator ha firmato, con Giulietto Chiesa, per sollecitare le forze politiche europee a pretendere una conversione finalmente democratica dell’Unione, che liberi Bruxelles dal dominio dell’élite finanziaria e restituisca sovranità e dignità ai popoli. Obiettivi strategici, da raggiungere innanzitutto sollevando il velo della disinformazione che protegge la dittatura del business. La guerra in Siria? D’accordo, è motivata anche da ragioni strategiche: grazie alle sue difese satellitari russe, la Siria è in grado di prevenire qualsiasi attacco contro l’Iran, in partenza da dalla Turchia o meglio da Israele, che potrebbe costringere Teheran a rispondere, trascinando quindi nel conflitto anche gli Usa, col pretesto di proteggere Tel Aviv. Ma la verità principale, quella di cui nessuno parla, è profonda quanto il Mediterraneo: guai se il “tesoro” dell’Egeo dovesse cadere nelle mani “sbagliate”, cioè quelle dei legittimi proprietari, col rischio di escludere il dollaro dal bengodi nascosto nei fondali marini.
«La Siria aveva una piccola produzione di petrolio, 300.000 barili all’anno, che con l’embargo si è ridotta a 20.000 barili, cosa che comporta minor ingresso di valuta. Però ha anche diritti di sfruttamento – spiega Alciator – perché da un punto di vista giuridico internazionale la piattaforma continentale sottomarina assicura diritti di sfruttamento fino a 250 chilometri dalla costa, in base a norme internazionale accettate». Ora, tra Cipro e la costa nord della Siria ci sono meno di 250 chilometri: basterebbe tracciare a metà strada una linea di demarcazione, per dividere l’estrazione. «Invece: vogliono espellere la Siria, e anche il Libano, dalla possibilità di accesso allo sfruttamento dei giacimenti». Sempre per il monopolio dollaro-petrolio, «la Siria dev’essere messa da parte e i giacimenti devono finire esclusivamente nelle mani delle società petrolifere multinazionali: questo è il motivo dell’accanimento contro la Siria». Se Cipro è stata “sistemata” con la crisi bancaria e il Libano, anch’esso sfiorato dall’oro sottomarino, è da sempre sottoposto al terremoto politico-militare, proprio il gas dell’Egeo contribuisce a spiegare anche il martirio a cui è sottoposta la Grecia. Le grandi società petrolifere, spiega Alciator, hanno già approfittato della crisi greca per accaparrarsi le concessioni a prezzi stracciati: «Se avessero dovuto comprarle a prezzi reali, concorrenziali, la Grecia avrebbe avuto modo di pagare non una, ma dieci volte il debito che le hanno creato le multinazionali finanziarie».
(Nel video, l’intervento integrale di Agostino Chiesa Alciator all’interno della sessione conclusiva dell’assemblea nazionale di “Alternativa”, svoltasi a Roma il 30 giugno 2013; tra gli ospiti, anche Valentino Parlato e Antonio Ingroia). FONTE
La Grecia è piena di gas e petrolio
Paolo della Sala (2012)
La Grecia avrebbe tanto petrolio e gas (lo sapevano già i nazisti) da ripagare il debito e vivere di rendita alla faccia di Germania e UE. Se così fosse (lo è senz’altro, in parte), allora la crisi greca va letta in un’altra maniera?
Come ho scritto già nel 2007, oppure come ho riscritto anche in seguito tra i primi in Europa, nel bacino del Mediterraneo orientale ci sono immense quantità di gas e petrolio. Avevo detto subito che ciò rischiava di rovesciare il mondo come lo conoscevamo.
Israele ha compiuto i survey nelle proprie acque territoriali (ci sono riserve anche sulla terra ferma…) con la company texana Noble energy. Le stime parlano di 450 miliardi di metri cubi di gas.
La scoperta -scrive Frederick William Engdahl ha rovesciato una volta di più le sue precedenti convinzioni di credente nella teoria del picco del petrolio: gli idrocarburi non sono affatto prossimi alla fine. Per esempio “il solo giacimento Leviathan basterebbe a tutto il fabbisogno energetico israeliano per un secolo”.
Dopo Israele, in tutta l’area sono iniziate indagini nei fondali marini. Oggi la USGS valuta in 9700 miliardi di metri cubi di gas e in 3,4 miliardi di barili di petrolio il totale del bacino sudorientale mediterraneo.
Engdahl aggiunge i dati di confronto: il bacino siberiano occidentale -il più grande al mondo- vale 18.200 miliardi m3. Quello di Rub Al-Khali (Arabia e Yemen) 12.062 miliardi di m3. Quello di Ghawar (est Arabia) 6.427 milliardi. Quello di Zagros contiene 6003 miliardi di metri cubi.
Il gas greco
Già da anni si parlava di gas e petrolio nel mare della Grecia (nell’Egeo, dove già i nazisti ficcarono le trivelle). A fine 2010 gli studi condotti hanno preventivato la presenza di 22 miliardi di barili nel mar Ionio (e in Italia?) più altri 4 miliardi nel nord dell’Egeo. Si noti che il Brasile, con la scoperta di meno di 20 miliardi di barili è diventato ufficialmente un produttore petrolifero mondiale. Si noti inoltre che finora mancano i survey sul sud dell’Egeo e sulla zona di Creta. I calcoli hanno portato a una valorizzazione degli idrocarburi greci pari a 9000 miliardi di dollari.
Come ognuno può immaginare, ciò rovescia completamente l’outlook della Grecia, e getta qualche ombra allarmante sulle cause geopolitiche della crisi finanziaria di Atene. David Hynes, esperto in risorse petrolifere francese valuta che in 25 anni il debito greco potrebbe sparire, con un surplus di 300 miliardi di euro.
Engdahl ipotizza quindi uno scenario complottista. Va tuttavia detto che a) il gas e il petrolio ci sono davvero (ma è da verificare meglio la quantità); b) c’è un grande accorrere al capezzale (o al capezzolo) greco: “Fondo Monetario e Germania chiedono la privatizzazione dei porti e delle aziende di Stato, incluse quelle del petrolio (la DEPA dovrebbe privatizzarsi al 65%)”. Ciò ha motivi serissimi nella serissima crisi greca, ma…
E’ strano che la Grecia non abbia ancora (a differenza di Cipro, mentre Libano e Israele si sono affidati all’Onu per il contenzioso sui confini marini) dichiarato i giacimenti parte della propria ZEE (Zona Economica Esclusiva). Lo ZEE infatti conferisce diritti esclusivi alla nazione titolare.
Uno degli ostacoli principali è in effetti la Turchia, storico nemico e colonizzatrice della Grecia fino al 1800. La Turchia ha bloccato Cipro e fa serissime minacce anche ad Atene. Ma ad Atene è volata Hillary Clinton, proponendo una condivisione dello sfruttamento del mare tra tutte le nazioni dell’area dell’Egeo. Ciò avveniva un anno fa, e con la Clinton c’era Richard Morningstar, suo consulente per l’energia nel Medio Oriente. Morninstar e Matthew Bryza sono stati gli artefici della guerra delle pipeline con la Russia. Un punto a favore degli USA è stato il BTC, che da Baku e Tiblisi sbocca a Ceyhan in Turchia. Una sconfitta è (per ora?) Nabucco, schiacciato dal gasdotto South Stream italiano-russo (e anche francese). Scrive Engdahl che Bill Clinton è lobbysta della Noble Energy, che avrebbe la parte del leone nello sfruttamento dell’Egeo.
Israele progetta di costruire un gasdotto che attraverso Cipro raggiunga la Grecia e l’Europa, dando una mazzata al dominio russo sui rifornimenti russi all’Europa. Secondo gli Usa, ciò dovrebbe svolgersi “in armonia” con la Turchia. Se invece dall’armonia si passasse alla competizione, si vedrebbe la Turchia “costretta” a scivolare verso Mosca, con uno scenario denso di conflittualità non soltanto verbale. FONTE
Le ‘disgrazie’ sono assicurate.
Grecia, Cipro e Siria messe ko, per rubargli il gas dell’Egeo
Articolo del 2013
Grecia, Cipro, Siria. Tre crisi ben distinte, secondo la narrazione mainstream: il debito pubblico non più tollerato dall’Europa del rigore, la fragilità del sistema bancario dell’isola mediterranea, la rivolta armata contro il regime di Assad. Peccato che nessuno veda cosa c’è sotto: ma proprio in fondo, là in basso, nel fondale marino dell’Egeo. Tecnicamente: uno smisurato giacimento di gas. Un tesoro inestimabile, a cui avrebbero accesso – per diritto internazionale – sia i greci massacrati dalla Troika, sia i ciprioti strapazzati da Bruxelles, sia i siriani assediati dai miliziani Nato travestiti da ribelli. Quel tesoro lo vogliono per intero, e a prezzi stracciati, le Sette Sorelle. E’ questo il vero motivo per cui si sta cercando di radere al suolo la sovranità della Grecia, di Cipro e della Siria. Non si tratta di una tesi, ma di fatti che il mondo diplomatico conosce. Parola di Agostino Chiesa Alciator, già console italiano in Francia. Che avverte: il disastro che ci sta rovinando addosso – crisi economica, catastrofe finanziaria, focolai di guerra permanente in ogni angolo del pianeta – ha una precisa di data d’inizio: 11 settembre. Non quello del 2001, le Torri Gemelle. Si tratta di undici anni prima: la caduta del Muro di Berlino.
Quel giorno del 1990, George Bush – il padre, già direttore della Cia – tenne un discorso storico: annunciò l’avvento di un Nuovo Ordine Mondiale, diretto da Washington e Londra. Era il punto di partenza di un processo inesorabile: dalla trasformazione radicale della Nato – da struttura difensiva ad organo offensivo, per il dominio del pianeta – fino alla neutralizzazione dell’Onu per aprire agli Usa la via della “guerra preventiva”, con un unico movente: procacciarsi l’accesso incondizionato al petrolio, come unico valore reale a sostegno dell’architrave dell’economia americana, il dollaro. Quello, spiega Alciator, è il momento in cui si incrina l’equilibrio del mondo, caduta l’Unione Sovietica. Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, formalizzato alla fine degli anni ’90 da George W. Bush, ne è un semplice sviluppo: «Gli Stati Uniti si arrogano il diritto di intervenire in tutto il mondo laddove i loro interessi siano considerati messi in gioco. Questa è, di fatto, l’esautorazione completa delle Nazioni Unite e del loro ruolo, fino ad allora gestito – bene o male – nella legalità internazionale, da un Consiglio di Sicurezza che rispecchiava equilibri di potenza».
Dalla geopolitica all’economia, il passo è breve: «L’altro pilastro del dominio globale è il dollaro, la sua circolazione forzosa internazionale», spiega Alciator. «Di qui tutti gli accordi, più o meno segreti, coi paesi produttori di petrolio, per i quali il petrolio è obbligatoriamente negoziato in dollari». Il problema nasce con la fine del rapporto tra dollaro e oro, il 16 luglio 1971: «Da un giorno all’altro, Nixon decide che non c’è più il cambio fisso tra 36 dollari e un’oncia d’oro: a quel punto, il dollaro non ha più un punto di riferimento stabile sul quale basare tutte le transazioni e le negoziazioni valutarie in tutto il mondo, e diventa una valuta negoziabile in quanto tale, senza più alcun riferimento». Cosa resta? «Soltanto il petrolio, che è la base di riferimento di ricchezza reale e continua, sulla quale il dollaro deve appoggiarsi per mantenere la sua credibilità». Nella trasformazione dell’egemonia Usa in autentico dominio globale, il dollaro gioca un ruolo fondamentale, insieme al petrolio e alle altre risorse energetiche: «Così, diventa assoluto il bisogno degli Stati Uniti di controllare tutte le zone produttrici di petrolio».
Comincia così la stagione della “guerra infinita”, verso la “nuova guerra fredda” cui stiamo assistendo: gli Usa occupano stabilmente i paesi petroliferi, oppure li invadono, o li accerchiano. Li isolano, presidiando gli oleodotti e le comunicazioni con l’esterno. «Dove gli Stati Uniti non possono occupare direttamente, con la guerra, i territori che producono la base fondamentale della vitalità del dollaro, presidiano le arterie globali di sbocco che da quei paesi arrivano al consumatore». In alcuni casi, se si evita la guerra è solo «per il timore di una guerra mondiale», ovvero il rischio teorico di “mutua distruzione” armato dai contrapposti arsenali atomici. Se i missili di Putin costringono l’America alla prudenza, «si stringe il cerchio attorno ai paesi produttori di gas e petrolio, per evitare che abbiano risorse petrolifere non espresse in dollari». Per esempio, tra Russia e Cina lo scambio avviene in rubli e yuan, mentre i cinesi «pagano il petrolio iraniano in oro, e gli iraniani poi cambiano l’oro in altre valute, che non sono il dollaro». Ecco il punto: «Economicamente, il disegno di dominio globale passa attraverso la sopravvivenza del dollaro, che è appoggiato sul petrolio e sul gas».
In questo, l’Europa ha una funzione strategica fondamentale, perché controlla gli sbocchi principali ed è uno dei maggiori recettori del gas che proviene dalla Russia. Non è un caso, aggiunge Alciator, che l’Irlanda e alcuni paesi nordeuropei si siano opposti alla rimozione dell’embargo sulla fornitura di armi di “ribelli” siriani, ormai in rotta verso la Giordania, dove sono protetti dalle installazioni Usa e dai missili Patriot. La situazione siriana è in stallo, ma ci sono dettagli che illuminano le possibilità che l’Europa ha di fronte. Alla vigilia del G8 di giugno, nel quale Putin ha costretto Obama a una nuova conferenza di pace sulla Siria, hanno giocato un ruolo fondamentale due attori: il premier britannico David Cameron e il nuovo Papa, Francesco I. Cameron – rivela Alciator – ha scritto al pontefice per assicurargli che al G8 la Gran Bretagna avrebbe appoggiato la proposta di pace caldeggiata da Putin. E Francesco ha risposto prontamente: molto bene, ma sappiate che la pace passa attraverso un immediato cessate il fuoco e una conferenza che tenga conto onestamente degli interessi di tutte le parti.
In quella lettera, continua l’ex diplomatico, Jorge Bergoglio ha aggiunto un’altra cosa molto importante: «Ha detto che la pace – e, in economia, la crisi – non si risolverà, se non si considererà l’uomo non più come una merce che si può gettare come la spazzatura, ma come la centralità di qualunque impresa economica e politica». In altre parole: «Non ci sarà legittimazione, né vera pace sociale, fino a quando non si riporterà l’uomo – la sua dignità, la sua persona, la sua libertà – al centro di ogni azione politica ed economica». Sono parole che anticipano di pochi giorni l’enciclica preparata dal suo predecessore, Josef Ratzinger, che secondo Alciator è stato «costretto a dimettersi» anche per via di quel testo, che denuncia i crimini del capitalismo finanziario. «Del resto – ricorda l’ex console – Ratzinger anticipò quei temi già a fine 2012, in occasione degli auguri natalizi alle rappresentanze diplomatiche». Alciator ricorda testualmente le parole di Ratzinger: «Purtroppo si sta insinuando nella società l’idea che il benessere e lo Stato sociale siano incompatibili col progresso economico: questo è inaccettabile».
Un passaggio-chiave, che Papa Francesco ha ripreso testualmente nella lettera a Cameron sulla Siria: le medesime idee ispirano il “Manifesto per l’Europa” che lo stesso Alciator ha firmato, con Giulietto Chiesa, per sollecitare le forze politiche europee a pretendere una conversione finalmente democratica dell’Unione, che liberi Bruxelles dal dominio dell’élite finanziaria e restituisca sovranità e dignità ai popoli. Obiettivi strategici, da raggiungere innanzitutto sollevando il velo della disinformazione che protegge la dittatura del business. La guerra in Siria? D’accordo, è motivata anche da ragioni strategiche: grazie alle sue difese satellitari russe, la Siria è in grado di prevenire qualsiasi attacco contro l’Iran, in partenza da dalla Turchia o meglio da Israele, che potrebbe costringere Teheran a rispondere, trascinando quindi nel conflitto anche gli Usa, col pretesto di proteggere Tel Aviv. Ma la verità principale, quella di cui nessuno parla, è profonda quanto il Mediterraneo: guai se il “tesoro” dell’Egeo dovesse cadere nelle mani “sbagliate”, cioè quelle dei legittimi proprietari, col rischio di escludere il dollaro dal bengodi nascosto nei fondali marini.
«La Siria aveva una piccola produzione di petrolio, 300.000 barili all’anno, che con l’embargo si è ridotta a 20.000 barili, cosa che comporta minor ingresso di valuta. Però ha anche diritti di sfruttamento – spiega Alciator – perché da un punto di vista giuridico internazionale la piattaforma continentale sottomarina assicura diritti di sfruttamento fino a 250 chilometri dalla costa, in base a norme internazionale accettate». Ora, tra Cipro e la costa nord della Siria ci sono meno di 250 chilometri: basterebbe tracciare a metà strada una linea di demarcazione, per dividere l’estrazione. «Invece: vogliono espellere la Siria, e anche il Libano, dalla possibilità di accesso allo sfruttamento dei giacimenti». Sempre per il monopolio dollaro-petrolio, «la Siria dev’essere messa da parte e i giacimenti devono finire esclusivamente nelle mani delle società petrolifere multinazionali: questo è il motivo dell’accanimento contro la Siria». Se Cipro è stata “sistemata” con la crisi bancaria e il Libano, anch’esso sfiorato dall’oro sottomarino, è da sempre sottoposto al terremoto politico-militare, proprio il gas dell’Egeo contribuisce a spiegare anche il martirio a cui è sottoposta la Grecia. Le grandi società petrolifere, spiega Alciator, hanno già approfittato della crisi greca per accaparrarsi le concessioni a prezzi stracciati: «Se avessero dovuto comprarle a prezzi reali, concorrenziali, la Grecia avrebbe avuto modo di pagare non una, ma dieci volte il debito che le hanno creato le multinazionali finanziarie».
(Nel video, l’intervento integrale di Agostino Chiesa Alciator all’interno della sessione conclusiva dell’assemblea nazionale di “Alternativa”, svoltasi a Roma il 30 giugno 2013; tra gli ospiti, anche Valentino Parlato e Antonio Ingroia). FONTE
La Grecia è piena di gas e petrolio
Paolo della Sala (2012)
La Grecia avrebbe tanto petrolio e gas (lo sapevano già i nazisti) da ripagare il debito e vivere di rendita alla faccia di Germania e UE. Se così fosse (lo è senz’altro, in parte), allora la crisi greca va letta in un’altra maniera?
Come ho scritto già nel 2007, oppure come ho riscritto anche in seguito tra i primi in Europa, nel bacino del Mediterraneo orientale ci sono immense quantità di gas e petrolio. Avevo detto subito che ciò rischiava di rovesciare il mondo come lo conoscevamo.
Israele ha compiuto i survey nelle proprie acque territoriali (ci sono riserve anche sulla terra ferma…) con la company texana Noble energy. Le stime parlano di 450 miliardi di metri cubi di gas.
La scoperta -scrive Frederick William Engdahl ha rovesciato una volta di più le sue precedenti convinzioni di credente nella teoria del picco del petrolio: gli idrocarburi non sono affatto prossimi alla fine. Per esempio “il solo giacimento Leviathan basterebbe a tutto il fabbisogno energetico israeliano per un secolo”.
Dopo Israele, in tutta l’area sono iniziate indagini nei fondali marini. Oggi la USGS valuta in 9700 miliardi di metri cubi di gas e in 3,4 miliardi di barili di petrolio il totale del bacino sudorientale mediterraneo.
Engdahl aggiunge i dati di confronto: il bacino siberiano occidentale -il più grande al mondo- vale 18.200 miliardi m3. Quello di Rub Al-Khali (Arabia e Yemen) 12.062 miliardi di m3. Quello di Ghawar (est Arabia) 6.427 milliardi. Quello di Zagros contiene 6003 miliardi di metri cubi.
Il gas greco
Già da anni si parlava di gas e petrolio nel mare della Grecia (nell’Egeo, dove già i nazisti ficcarono le trivelle). A fine 2010 gli studi condotti hanno preventivato la presenza di 22 miliardi di barili nel mar Ionio (e in Italia?) più altri 4 miliardi nel nord dell’Egeo. Si noti che il Brasile, con la scoperta di meno di 20 miliardi di barili è diventato ufficialmente un produttore petrolifero mondiale. Si noti inoltre che finora mancano i survey sul sud dell’Egeo e sulla zona di Creta. I calcoli hanno portato a una valorizzazione degli idrocarburi greci pari a 9000 miliardi di dollari.
Come ognuno può immaginare, ciò rovescia completamente l’outlook della Grecia, e getta qualche ombra allarmante sulle cause geopolitiche della crisi finanziaria di Atene. David Hynes, esperto in risorse petrolifere francese valuta che in 25 anni il debito greco potrebbe sparire, con un surplus di 300 miliardi di euro.
Engdahl ipotizza quindi uno scenario complottista. Va tuttavia detto che a) il gas e il petrolio ci sono davvero (ma è da verificare meglio la quantità); b) c’è un grande accorrere al capezzale (o al capezzolo) greco: “Fondo Monetario e Germania chiedono la privatizzazione dei porti e delle aziende di Stato, incluse quelle del petrolio (la DEPA dovrebbe privatizzarsi al 65%)”. Ciò ha motivi serissimi nella serissima crisi greca, ma…
E’ strano che la Grecia non abbia ancora (a differenza di Cipro, mentre Libano e Israele si sono affidati all’Onu per il contenzioso sui confini marini) dichiarato i giacimenti parte della propria ZEE (Zona Economica Esclusiva). Lo ZEE infatti conferisce diritti esclusivi alla nazione titolare.
Uno degli ostacoli principali è in effetti la Turchia, storico nemico e colonizzatrice della Grecia fino al 1800. La Turchia ha bloccato Cipro e fa serissime minacce anche ad Atene. Ma ad Atene è volata Hillary Clinton, proponendo una condivisione dello sfruttamento del mare tra tutte le nazioni dell’area dell’Egeo. Ciò avveniva un anno fa, e con la Clinton c’era Richard Morningstar, suo consulente per l’energia nel Medio Oriente. Morninstar e Matthew Bryza sono stati gli artefici della guerra delle pipeline con la Russia. Un punto a favore degli USA è stato il BTC, che da Baku e Tiblisi sbocca a Ceyhan in Turchia. Una sconfitta è (per ora?) Nabucco, schiacciato dal gasdotto South Stream italiano-russo (e anche francese). Scrive Engdahl che Bill Clinton è lobbysta della Noble Energy, che avrebbe la parte del leone nello sfruttamento dell’Egeo.
Israele progetta di costruire un gasdotto che attraverso Cipro raggiunga la Grecia e l’Europa, dando una mazzata al dominio russo sui rifornimenti russi all’Europa. Secondo gli Usa, ciò dovrebbe svolgersi “in armonia” con la Turchia. Se invece dall’armonia si passasse alla competizione, si vedrebbe la Turchia “costretta” a scivolare verso Mosca, con uno scenario denso di conflittualità non soltanto verbale. FONTE
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